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Anche in questi giorni, torna la dolorosa sensazione che non ho fatto tutto quel che dovevo fare, che non ho compiuto…l’opera. Quale opera, poi.
Studiare studio sempre, che non ho mai smesso e sto ancora brigando con un master.
I figli sono belli e finiti.
Ho operato scelte difficili, ho causato dolore, ne ho pagato il prezzo: collaudo ogni giorno nuovi intrecci con le persone amate. Lievi, stretti, a più fili, elastici. Basta nodi.
Sono innamorata del mio lavoro, che a luglio già mi manca l’odore delle matite temperate e da giorni sto preparando materiali e lezioni.
E allora?
Oggi mentre leggevo un libro in riva al torrente (23 gradi, per dire, contro i 33 del cortile di casa), mi è saltato all’occhio qualcosa, qualcosa di me. C’è una specie di fil rouge che collega molti aspetti della mia vita, come da elenco.
– da undici anni lavoro in una realtà privata e la mia paga (come quella delle mie colleghe) è di 7,80 euro all’ora. Ci siamo battute, a varie riprese, per ottenere un aumento o un riconoscimento dei titoli e dell’impegno, ma la cosa (non sempre per cattiva volontà di chi amministra) è parecchio complessa. E io, sono ancora lì col mio dente rotto.
– l’ex marito non paga più nulla per i figlioli e vive nella casa che sarebbe mia per metà, con la sua famigliola. Qualche settimana fa mi sono decisa a consultare un avvocato, per ottenere qualcosa almeno in merito all’immobile. Ma che fatica immensa.
– la mamma di D., neanche a dirlo, è di nuovo da noi, che fa troppo caldo in città. E un  bel Pinguino, no?
– dispenso a iosa attenzioni non richieste: vieni a trovarmi? posso aiutarti? come stai? vuoi gli gnocchi domani? (e si suda da fermi)
Ecco, penso di credere che non sia un mio diritto. Essere voluta bene, intendo. Essere considerata degna del giusto, di quello che mi spetta, del minimo sindacale. Penso di dovermelo sudare tanto e “tanto” è qualcosa di indefinito, che prevede sforzi titanici e bisogni personali disattesi.
Insomma in riva al torrente, mi son detta che adesso basta.